giovedì 3 settembre 2009

"Memorie" di Concetto Gallo, secondo Turri, successore di Canepa:quarta parte

Quarta parte dell'importante documento gentilmente concesso dal Fratello Santo Trovato.

Storia del Movimento per l'Indipendenza della Sicilia, raccontata dal comandante dell'EVIS, secondo Turri, successore di Canepa, in una intervista poco nota del 1974.

(Intervista di E.Magri, 1974 - Riproposta nel 2009 sul settimanale "Gazzettino di Giarre" dal Prof. Salvatore Musumeci")

Morto Canepa, una parte degli indipendentisti era per il mantenimento della legalità; l’altra, per la ristrutturazione dell’esercito e per la lotta clandestina fino a quando non avessimo ottenuto l’indipendenza.


«Mentre ero in clandestinità, a Palermo, avvenne un episodio che mi riguardò personalmente: incontrai un personaggio dell’Intelligence Service, un uomo di grande prestigio, tuttora in vita (1974, ndr). Parlando con questo personaggio io cercai di sondare l’opinione inglese a proposito dell’indipendentismo per il quale noi stavamo combattendo. Si può immaginare come parla un inglese che fa parte dell’Intelligence Service.

Ebbene, senza alcun giro di parole quest’uomo, che, ripeto, è ancora vivo ma di cui non posso fare il nome, quest’uomo inglese cominciò a parlare della tradizionale amicizia tra Sicilia e Inghilterra, di Nelson e così via. Poi continuò, e disse pressappoco: “Sa, evidentemente noi stiamo con l’occhio molto vigile sui movimenti come quello in cui lei opera. Siamo molto vigili soprattutto qui in Sicilia tenuto conto della posizione dell’isola. Un nostro intervento, un intervento dell’Inghilterra e dell’America, può tuttavia essere giustificato a una condizione: che ci sia un fatto, qualcosa di irreversibile che possa giustificare una nostra presa di posizione”.

Il discorso mi sembrò chiarissimo. Anche se noi, se io non avevo preso accordi ad alto livello, anche se io ero all’oscuro di accordi tra i capi del Movimento e alleati, accordi che, credo, non ci siano mai stati perché se no Andrea Finocchiaro Aprile me ne avrebbe messo al corrente, anche se io non ero ufficialmente informato di accordi tra alleati e indipendentisti, quello mi sembrò, mi parve, un incoraggiamento. L’altro episodio lo narrerò più avanti.

Torniamo, pertanto, a Canepa. In effetti, questi forzando alcune posizioni di legalitarismo, costituì l’Evis, l’esercito, e decise la dislocazione dell’esercito nella zona di Cesarò, che si trovava al confine con due province ed era circondata di boschi. Le divise vennero improvvisate con materiale americano acquistato al mercato nero. Quanto alle armi, non possedevamo che quelle che avevamo tolto ai militari della Sabauda al tempo della sfida e alcuni mitra e fucili che Canepa aveva recuperato presso un contadino che venne minacciato di fucilazione se non li avesse consegnati. Proprio così. Canepa sapeva che il contadino possedeva quelle armi. E quando l’uomo negò, lui ordinò a due suoi uomini di scavare una fossa e di fucilarlo. Naturalmente il contadino ci diede tutto. Ma l’esercito di Canepa non combatté nessuna battaglia. Perché il comandante dell’Evis venne ucciso in un agguato dai carabinieri reali, la mattina del 17 giugno 1945.

L’avevo visto la sera precedente, il sedici. Doveva andare a Francavilla per recuperare un certo contingente di armi. Per conto mio avrei dovuto acquistare un certo numero di divise americane che dovevano servire per “vestire” le giovani reclute dell’Evis.

Il 17 giugno, mentre stavo per lasciare Catania, ricevetti una telefonata da Guglielmo duca di Carcaci, comandante della Lega Giovanile e comandante generale dell’Evis. Mi disse: “Hanno ammazzato Canepa. Non ti muovere. Ti verrò a prendere io”.

Partimmo insieme verso Cesarò e ci rifugiammo nella ducea di Nelson, presso Bronte. Trascorsi alcuni giorni, arrivò un’automobile. Alla guida c’era un ammiraglio della marina degli Stati Uniti. Accanto una bella signora. Dietro, Guglielmo di Carcaci con in testa un cappello da commodoro. Entrai in fretta e furia nell’automobile, m’infilai una giacca da ammiraglio degli Stati Uniti, misi in testa il berretto da commodoro e l’automobile s’avviò. La città era circondata da polizia e carabinieri. Un vero presidio con posti di blocco ovunque.

Ovunque uomini e barriere che si alzavano solo dopo che la polizia aveva controllato i documenti di chi voleva lasciare la città. Noi arrivammo al posto di blocco di Ognina. L’ammiraglio si fece riconoscere e la pattuglia dei carabinieri con un perfetto saluto aprì la barriera.

Ecco, questo è il secondo episodio che mi diede personalmente la misura della simpatia che il Movimento godeva presso gli alleati.

E infatti la sera stessa, dopo una sosta con colazione a Taormina, giungemmo a Palermo, dove, insieme col duca di Carcaci, restammo ospiti a Villa Wittinger, che era la sede del comando alleato in Sicilia. A Villa Wittinger incontrai l’uomo dell’Intelligence Service inglese, il personaggio che mi avrebbe dato con le sue allusioni una conferma tangibile alle supposizioni che avevo fatto durante il tragitto da Catania a Palermo. Carcaci mi aveva detto che il merito di quel passaggio sull’auto dell’ammiraglio spettava alla nobildonna siciliana che aveva viaggiato con noi. Un fatto di galanteria? Probabile. Ma l’ammiraglio galante doveva essere sicuro che, qualora la cosa fosse stata scoperta, lui non avrebbe avuto nulla da temere. In sostanza, si sentiva coperto.

Morto Antonio Canepa, l’Evis era rimasto senza comandante. A Palermo dove ero stato accompagnato dall’ammiraglio americano, cominciai a prendere i contatti con tutti gli indipendentisti. Dopo essere rimasto due giorni a Villa Wittinger mi trasferii in casa dell’avvocato Sirio Rossi, un socialista indipendentista che allora abitava nella zona dell’Uditore, una zona nella quale alle sei di sera non si poteva già uscire.

Gli accordi di Yalta, avvenuti nel febbraio precedente, avevano già determinato alcuni ripensamenti fra le nostre file. Era già rientrato Togliatti dalla Russia; c’era già il governo di Parri; i partiti si erano ricomposti. E tra noi erano cominciate le incrinature.

La riunione decisiva venne tenuta nella villa di Lucio Tasca, già sindaco di Palermo, a Mondello. Una parte degli indipendentisti era per il mantenimento della legalità e per la definitiva rinuncia a un’operazione armata. L’altra era per la ristrutturazione dell’esercito e per la lotta clandestina fino a quando non avessimo ottenuto l’indipendenza. Io cercai di rompere gli indugi. Chiesi che non soltanto venisse ricostruito l’Evis ma che tutti i presenti s’impegnassero a firmare un documento nel quale si giurasse solennemente di non cedere. Antonino Varvaro fece l’inferno. Non voleva. La riunione s’interruppe. Mi affacciai per prendere una boccata d’aria con Finocchiaro Aprile e altri. Dissi: “Tra di noi c’è un traditore”. “Chi è?” mi domandarono. Risposi: “Varvaro”.

Tornammo in sala: le proposte erano due: rafforzamento della Lega Giovanile e scioglimento dell’Evis, una; l’altra, la mia, lotta armata. La riunione si sciolse prima che venisse presa una decisione».

Commento del Prof. Salvatore Musumeci, Presidente Nazionale del Mis

L’intuizione di Gallo sul comportamento di Varvaro non era peregrina. I rapporti fra quest’ultimo e Andrea Finocchiaro Aprile si andarono deteriorando fino a giungere ad una scissione, che avvenne durante il III Congresso del Mis, celebratosi a Taormina nei giorni 31 gennaio, 1, 2 e 3 febbraio 1947. In realtà, prima ancora che il Movimento potesse adottare una strategia politica per fronteggiare i nuovi sviluppi della vita democratica siciliana, avvennero in seno ad esso una serie di avvenimenti strani (ricordiamo che durante l’internamento a Ponza dei leader indipendentisti, inspiegabilmente, Varvaro aveva avuto un trattamento di favore dalle forze dell’ordine), dei quali è pressoché impossibile comprenderne la vera natura, ma che sono riconducibili al pluralismo delle posizioni ideologiche, contrastanti tra di loro, e “conviventi” all’interno di esso, in un clima di progressiva litigiosità. Infine, in occasione del Referendum “Monarchia o Repubblica” si erano determinate due linee politiche, una a favore della monarchia e l’altra contraria. Per questa ambiguità, non pochi, soprattutto nel movimento giovanile, accusavano Andrea Finocchiaro Aprile di non aver ribadito, con forza, la originaria posizione repubblicana.

Per appianare la querelle, il Leader, dopo una lunga premessa, richiamante la scelta repubblicana dei precedenti congressi, fece approvare una mozione che dichiarava l’accettazione leale totale del Regime Repubblicano. Il Mis, pertanto, non avrebbe avuto verso la Repubblica Italiana alcun motivo di contrasto “sino a quando Essa riconoscerà e rispetterà i principi comuni agli Stati a Regime Costituzionale, garantendo la collettività dei singoli da aggressioni totalitarie, da qualunque parte vengano, e sino a quando consentirà il libero sviluppo delle idee indipendentiste su un piano di rigorosa legalità”. La mozione si concludeva con una frase sibillina: “(il Mis ndr.) lascia ai suoi aderenti libertà di pensiero individuale sul tema istituzionale”.

Tutti contenti e d’accordo, quindi? Niente affatto. I dissidenti guidati dall’on. Varvaro e dall’avv. Anselmo Crisafulli, dopo un vivace dibattito e dopo una serie di pregiudiziali, dall’una e dall’altra parte, abbandonarono l’aula mentre la Presidenza del Congresso li dichiarava espulsi.

La maggioranza assoluta dei congressisti testimoniò la fiducia ad Andrea Finocchiaro Aprile, che rimase il leader del Movimento. Varvaro si dedicò, con entusiasmo ma con minore seguito, a promuovere il Misdr (Movimento per l’Indipendenza della Sicilia Democratico Repubblicano), qualificandosi come uomo di sinistra, alternativo al vecchio gruppo dirigente indipendentista.

Nelle consultazioni elettorali del 20 aprile 1947 per eleggere la I Assemblea Regionale Siciliana, il Mis confermò, sostanzialmente, i risultati del 1946 conseguendo 171.470 voti e otto deputati con l’8,75% dei suffragi. Furono eletti: Andrea Finocchiaro Aprile, Attilio Castrogiovanni, Concetto Gallo, Giuseppe Caltabiano, Rosario Cacopardo, Gaetano Drago, Gioacchino Germanà, Pietro Lanolina. Ad Andrea Finocchiaro Aprile, dimessosi il 2 marzo 1948 per partecipare alle prime elezioni politiche della Repubblica Italiana, subentrò Vincenzo Bongiorno.

Il Misdr di Varvaro ottenne, complessivamente, 19.565 voti pari all’1%, raccolti prevalentemente nella Provincia di Palermo, dove aveva avuto l’appoggio di Giuliano, senza conquistare alcun seggio. Il crollo elettorale del Mis non era ancora avvenuto. Avrebbe avuto luogo l’anno successivo nelle Elezioni Politiche del 18 aprile 1948, nelle quali l’attenzione dell’elettorato fu concentrata maggiormente sul confronto tra comunismo e anticomunismo.

(4. Continua –“Memorie” di Concetto Gallo, da un’intervista di E. Magrì, 1974)

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