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martedì 25 agosto 2009
A proposito di “lingue locali”- di Salvatore Musumeci Presidente del MIS
Contributo del Prof. Salvatore Musumeci (Presidente del Movimento per l'Indipendenza della Sicilia).
A proposito di “lingue locali”
“Un Populu, diventa poviru e servu quannu i paroli non figghianu paroli
e si mancianu tra d’iddi” (I. Buttitta)
Anche sotto la canicola agostana è continuata l’azione politica della Lega e il pressing sugli altri alleati della coalizione governativa per vincere le sue battaglie che evidentemente sono molto importanti per il popolo leghista. Una tra le tante è l’introduzione dei dialetti (chiamati in modo forbito “lingue locali”) nelle scuole a salvaguardia della cultura e dell’identità padana.
Test di dialetto per insegnare a scuola e la necessità di istituire un albo regionale per i professori, dopo una pre-selezione “che attesti la tutela e la valorizzazione del territorio da parte dell’insegnante”.
«In un mondo globalizzato come il nostro – ha spiegato Federico Bricolo, capogruppo della Lega al Senato –, diventa fondamentale trasmettere alle nuove generazioni attraverso la scuola le nostre lingue che sono segno e sostanza della nostra appartenenza culturale. Pensiamo a una scuola che prepari i giovani ad affrontare al meglio il mondo del lavoro ma che li renda anche fieri e orgogliosi delle proprie radici. Per questo abbiamo presentato una proposta di legge che prevede l’insegnamento nella scuola dell’obbligo delle lingue e dialetti delle comunità territoriali e regionali. Chi ci critica tenga conto che la stessa Carta europea per le lingue regionali o minoritarie sottoscritta a Strasburgo nel 1992 riconosce il “diritto imprescrittibile delle popolazioni ad esprimersi nelle loro lingue nell’ambito della loro vita privata e sociale”. Un diritto che, d’altra parte, è già garantito da tempo da molti Paesi europei».
Fin qui nulla da eccepire… anzi ben venga lo studio serio delle lingue locali.
Ma ci chiediamo: quale futuro avrà la Lingua Siciliana? Una volta tanto, esso non dipende dal Governo Regionale Siciliano, che su questo argomento merita ampiamente la lode, ma dagli stessi siciliani. Infatti, una lingua è tale fin quando la si parla e la si trasmette in forma scritta.
Nel Libro Rosso dell’Unesco, relativo alle lingue del mondo in pericolo, nella sezione dedicata al continente europeo sono state stilate sei categorie.
La VI e ultima categoria comprende tutte le lingue “non in pericolo”. E, per quanto possa sembrare strano, al Siciliano è toccato il “privilegio” di far parte proprio della VI categoria, in compagnia dell’Italiano, dell’Inglese, del Francese, dello Spagnolo e di tutte le altre lingue “nazionali” e, tra i “dialetti” italiani, del Veneto e dell’Italiano Meridionale. Il Lombardo, il Piemontese, il Ligure, l’Emiliano, il Corso sono stati classificati, invece, da gruppo V “Lingue potenzialmente in pericolo con tantissimi parlanti bambini ma senza uno “status” di lingua ufficiale o di prestigio”, e i dialetti sardi, il Basco e il Gaelico Irlandese (queste ultime due, lingue ufficiali statali) addirittura da gruppo IV “Lingue in pericolo con, tra i parlanti, alcuni bambini, almeno in parte della loro gamma, ma con tendenza decrescente”.
Così, nonostante il Siciliano sia riuscito a sopravvivere con grande vigore per secoli e secoli, pur non essendo più lingua ufficiale di stato, l’evoluzione dei mezzi di comunicazione e la conseguente “italianizzazione” culturale dell’Isola, a lungo termine, potrebbero comportare un progressivo abbandono dell’uso di tale idioma.
L’unica possibilità di interrompere tale deprecabile processo è legata all’ufficializzazione della Lingua Siciliana e al suo insegnamento nelle scuole. E se il percorso del processo di riconoscimento, da parte delle istituzioni, del Siciliano come lingua ufficiale sembra lungo e irto di difficoltà, l’insegnamento nelle scuole appare invece realizzabile, solo se ci sta a cuore. Effettivamente già è possibile di insegnare il Siciliano nelle scuole, ma sono in pochi ad averne conoscenza.
Di fatti, in forza della specialità dello Statuto e in tempi non sospetti, nel 1981 l’Assemblea Regionale Siciliana legiferò in materia di “Provvedimenti intesi a favorire lo studio del dialetto siciliano e delle lingue delle minoranze etniche delle scuole dell’Isola” istituendo la legge regionale n. 85 del 6.5.1981 (regolarmente impugnata e mutilata, nelle parti in cui il Siciliano veniva definito lingua e se ne obbligava perentoriamente l’insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado, dal “Crispi” di turno, ovvero dal Commissario dello Stato). Per dare attuazione a quanto legiferato, nel triennio 1981-1983 vennero stanziate delle somme di denaro per retribuire quegli insegnanti che avevano organizzato i corsi di aggiornamento in materia e quelli che avevano effettuato attività integrative di insegnamento del dialetto a scuola.
Nonostante il chiaro spessore culturale dell’iniziativa, essa venne accolta con scarso interesse sia da parte del corpo docente che dagli alunni e dai dirigenti scolastici, tanto che successivamente la Regione Sicilia non impegnò più alcuna somma in proposito.
Soltanto nel 2000, l’allora Assessore, Salvatore Morinello (docente di storia e filosofia, dal 1° settembre 2009 in servizio al Liceo Classico di Chiavari, fronte avanzato della Lega Nord in Liguria) – tenendo conto dell’Autonomia scolastica e, quindi, di quanto previsto dalla riforma Moratti come tutela delle culture locali, lasciata appunto alla libera iniziativa degli istituti scolastici –, dopo quasi vent’anni di oblio, “rispolverò” la legge in questione, finanziandone (anche negli anni successivi fino al 2002/03) la voce di bilancio. Poi ancora una volta seguì una vacatio, come al solito dovuta al flebile interesse dei siciliani ed alla scarsità di fondi.
Finalmente, grazie alla sensibilità del Presidente Raffaele lombardo, del Governo Regionale, l’Assessore alla Pubblica Istruzione, Lino Leanza, ha predisposto le somme necessarie per l’applicazione della legge n. 85 del 1981 riaccendendo così il dibattito all’interno della scuola siciliana. «È assolutamente corretto introdurre il dialetto siciliano nelle scuole – ha dichiarato l’on. Leanza –. Ma la cosa più importante è soprattutto studiare la storia della nostra terra. Ogni scuola nel proprio ambito può decidere quali corsi fare. L’autonomia scolastica ha un fondo del 7-8% per riservare un’ora o due ad una particolare disciplina. Ritengo che scegliere il dialetto e la storia della Sicilia sarebbe una vera opportunità di arricchimento. Credo che una storia della Sicilia, non scritta dai vincitori, guardata con molta serietà rispetto alle tradizioni locali, sia importante per far ritrovare alle nuove generazioni le nostre antichissime radici culturali ed identitarie».
Insomma, ancora una volta, la Lega è arrivata con 28 anni di ritardo su ciò che la Sicilia ha fatto per conservare il patrimonio linguistico isolano che risale ai tempi di Ciullo d’Alcamo. Lingua sicuramente e non dialetto, continuamente alimentata da poeti ed artisti, come Ignazio Buttitta, Turi Lima (al secolo Venero Maccarrone), Rosa Balistreri per giungere alle contemporanee Lina Rinaudo La Mattina, Rita Elia… ma anche dai cantastorie che narravano le gesta dei paladini e di Turiddu Giuliano.
Inoltre, e sono pochi a saperlo, fino al 1958 il programma per il concorso di abilitazione all’insegnamento nelle scuole elementari, prevedeva la conoscenza di nozioni di lingua siciliana e sulle tradizioni popolari.
Ma c’è di più, proprio i versi di Ignazio Buttitta: «Un popolo diventa servu, quannu ci arrubbanu a lingua adottata di Patri: è persu pi sempri», hanno spinto Vincenzo Allegra, Presidente del movimento “I Gattopardi Sicilia” a creare un’iniziativa per il riconoscimento del Siciliano come lingua minoritaria e di promuovere lo studio e la conoscenza. È intenzione del Movimento di inoltrare richiesta all’Unione Europea, tramite i deputati eletti in Sicilia fra i vari partiti, per sollecitare ed acquisire il riconoscimento e la dignità della nostra lingua secondo i principi della Carta europea sottoscritta nel 1992 (tanto invocata dalla Lega Nord).
La necessità è quella di valorizzare il Siciliano, liberarlo dalla condizione di dialetto e di innalzarlo a lingua. Più di cinque milioni di persone, senza contare le grandi comunità Siciliane in America, Australia, Canada ed Europa, parlano siciliano.
Non vergogniamoci, anzi… valorizziamo la nostra identità socio culturale di Popolo utilizzando orgogliosamente la nostra lingua, patrimonio immateriale fatto di parole, suoni, tradizioni orali che contraddistingue l’appartenenza al luogo delle proprie radici e che, per effetto della globalizzazione multimediale rischia, col trascorrere del tempo, rischia di dissolversi e di far sparire la Sicilia e i siciliani.
Leggiamo dunque i versi di Buttitta, Lingua e Dialettu, e forse comprenderemo fino in fondo il pericolo ed avverrà il miracolo!
Salvatore Musumeci
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