I miei lavori da fotografo professionista e poi attualità, cronaca, politica, cultura, opinioni sulla città di Messina......e non solo.
sabato 15 agosto 2009
"Memorie" di Concetto Gallo, secondo Turri, successore di Canepa:seconda parte
Seconda parte dell'interessante contributo gentilmente concesso da Santo Trovato
Storia del Movimento per l'Indipendenza della Sicilia, raccontata dal comandante dell'EVIS, secondo Turri, successore di Canepa, in una intervista poco nota del 1974.
(Intervista di E.Magri, 1974 - Riproposta nel 2009 sul settimanale "Gazzettino di Giarre" dal Prof. Salvatore Musumeci")
Indipendentismo come antifascismo
I siciliani vissero il Fascismo come un ulteriore asservimento all’Italia, e la fine della guerra rappresentò l’occasione ideale per liberarsi della italica tirannia
«In Sicilia, in un clima di abusi di potere e di soprusi maturò l’antifascismo; un antifascismo che si accentuò a mano a mano che ci si avvicinava alla guerra. Inizialmente questo antifascismo era dei più vari colori, come nel resto d’Italia: socialista, comunista, liberale. Poi, l’atteggiamento di Badoglio e il proclama di Roatta che parlava di “italiani e di siciliani fedeli”, fedeli come i cani, fecero coagulare l’antifascismo attorno all’indipendentismo siciliano.
E la culla dell’indipendentismo catanese era Villa Rindone, a San Giovanni La Punta, dove l’illustre chirurgo, ex deputato al Parlamento prefascista, si trovava sfollato nel 1943. Rindone e tutti gli altri, compreso me, erano già convinti, nel 1942, che la guerra fosse perduta e che bisognasse pensare a un nuovo assetto politico per la Sicilia. Si aveva la sensazione che la catastrofe della guerra fosse uno di quei ritorni storici in seguito ai quali i popoli che erano stati asserviti ne dovevano approfittare.
E questa sensazione, voglio dire l’idea dell’indipendenza, si diffondeva rapidamente. Solo più tardi sapemmo che un gruppo di giovani si riuniva, contemporaneamente a noi, e indipendentemente da noi, nella chiesa della Mercede parlando degli stessi temi che venivano dibattuti dai maggiorenti in casa Rindone. Così come scoprimmo che nell’altro versante dell’isola, Andrea Finocchiaro Aprile, ex deputato liberale al Parlamento prefascista, uomo eccezionale, di grande prestigio e di onestà, stava operando per l’indipendentismo insieme con Lucio Tasca, primo sindaco di Palermo. Antonino Varvaro e altri. Era stato proprio nel precedente mese di luglio, all’entrata degli americani a Palermo, che Finocchiaro Aprile aveva fatto un proclama e aveva scritto a tutti i suoi ex colleghi deputati siciliani al Parlamento prima di Mussolini proponendo una lotta politica per l’indipendenza. Il fatto è che noi siamo stati afflitti da due cose: da un pugno di traditori che ci hanno abbandonato al momento delle battaglie decisive e dall’ignavia che ha lasciato agli altri il compito di scrivere per nostro conto. E gli altri hanno scritto menzogne.
Ad ogni buon conto, lasciamo le digressioni. Dicevo che l’otto agosto 1943 gli indipendentisti catanesi si riunirono in casa Rindone. Non c’era niente da dibattere. Tutto era stato dibattuto nei mesi precedenti. E così da casa Rindone uscì un manifesto con le firme di tutti i presenti: era l’atto costitutivo in Catania del Movimento per l’Indipendenza della Sicilia. Ed era con una copia di questo manifesto che io e un giornalista, Concetto Battiato, partimmo per Palermo per prendere contatto col padre spirituale dell’indipendentismo: Andrea Finocchiaro Aprile. Quando lo incontrammo era in casa del genero, Frasca Polara. Finocchiaro Aprile aveva sulle spalle un impermeabile del genero e si stava friggendo due uova su una spiritiera. La sua unica ricchezza erano tre discorsi: i cosiddetti “discorsi dell’Aurora” che io portai a Catania. Alcuni mesi dopo, il 9 dicembre 1943, Andrea Finocchiaro Aprile fondò ufficialmente a Palermo il Movimento (trasformando il Cis, “Comitato per l’Indipendenza della Sicilia”, in Mis, ndr).
Una sera, in una sala da ballo catanese, un ufficiale della divisione Sabauda fendette la folla dei danzatori e si avvicinò alla coppia che stava al centro della sala.
Il dancing era a Guardia-Ognina, una borgata alla periferia di Catania. Era uno dei primi balli dopo i triboli della guerra. Era presente anche il prefetto Fazio, nominato dagli inglesi. Impettito e tracotante, l’ufficiale fermò i due danzatori: erano l’avvocato Antonio Bruno e la sorella. L’avvocato Antonio Bruno portava all’occhiello il distintivo della Trinacria: le tre gambe e la faccia di donna. “Si tolga quel distintivo”, disse l’ufficiale all’avvocato. “Io non tolgo niente”, rispose l’avvocato Bruno.
La musica cessò e tutti gli occhi furono rivolti al centro della sala. Compresi quelli del prefetto Fazio nominato dagli alleati. “Si tolga quel distintivo oppure esca fuori”, tuonò ancora l’ufficiale della Sabauda. “Io non mi tolgo il distintivo e non esco fuori”, replicò l’avvocato indignato. “Allora lei è un vigliacco”, concluse l’ufficiale.
A quelle parole l’avvocato Bruno lasciò la sorella e uscì con l’ufficiale. Seguì lo svenimento della sorella dell’avvocato Bruno, e un putiferio durante il quale l’ufficiale staccò dall’occhiello la Trinacria al giovane avvocato.
Io non c’ero a quella festa. Ma lo seppi una mezz’ora più tardi. Furente come potevo essere furente in quegli anni, andai a cercare subito il giornalista Concetto Battiato e tentai di fare aprire una tipografia. Impossibile. Allora, sempre con Concetto Battiato, recuperai una macchina da scrivere e in due ore battemmo cento copie di un cartello di sfida a tutti gli ufficiali della divisione Sabauda.
Affiggemmo copie di quel cartello, di notte, davanti al comando della divisione e sui muri della città. E siccome era l’ora in cui tornavano le pattuglie di ronda, disarmammo tutte le pattuglie che incontrammo. Poi andai a casa e attesi pazientemente al telefono. Ma non chiamò nessuno.
La guerra al Movimento era già stata dichiarata dal governo Badoglio prima e dal governo Bonomi dopo. Il 28 gennaio 1944 gli alleati avevano consegnato la Sicilia al governo provvisorio italiano e, per prima cosa, l’Italia, il pezzo d’Italia libera, aveva deciso di frustrare con tutti i mezzi a disposizione l’indipendentismo nascente in Sicilia. Qualcuno ci abbandona, come Guarino Amelia, che il venti di gennaio 1944 era latore di un manifesto di Andrea Finocchiaro Aprile a Catania, e sette giorni dopo partecipò al convegno dei comitati di liberazione a Bari.
Ma il movimento non solo era forte. Cresceva e si moltiplicava. E rapidamente si scontrò col potere italiano rappresentato dalla divisione Sabauda mandata apposta per reprimere ogni velleità di indipendentismo.
Gli episodi sono degni dei Vespri. Quello con l’avvocato Bruno è uno di quelli incruenti. Ma scorse anche il sangue. Un nostro iscritto che affiggeva un manifesto in via Etnea venne fatto segno a un colpo di fucile che gli sfiorò il giubbotto. Un altro, il fratello del primo, venne colpito da una fucilata al petto e sopravvisse. A quest’ultimo episodio ero presente anch’io: armato, cominciai a sparare in aria in piena via Etnea per creare panico.
Movimento e autorità locali arrivarono ai ferri corti. Noi indipendentisti catanesi costituimmo legalmente il Movimento per l’indipendenza siciliana e mandammo una copia del verbale alle autorità con un poscritto di Romeo Perrotta, segretario provinciale del Movimento. Poscritto nel quale si precisava che si trattava di una pura e semplice notifica alle autorità ma in quanto autorità locali e non come rappresentanti dello Stato italiano col quale noi non volevamo avere nulla a che spartire.
Il potere, costituito da poco sotto l’egida del governo di Bari, si vendicò con l’ostruzionismo. Finocchiaro Aprile venne a Catania per tenere un discorso ai catanesi. Chiedemmo un locale dove riunirci. Ma il locale ci venne negato sfacciatamente. Allora alzammo l’ingegno. Uno di noi possedeva un grande palazzo adibito a scuola privata. Sloggiammo la scuola privata, organizzammo due piani, installammo gli altoparlanti e Andrea Finocchiaro Aprile poté parlare. Al comizio fece seguito un duro scontro con i nostri avversari “in borghese” (ovvero, appartenenti alle forze dell’ordine, ndr), con quelli del Movimento unitario italiano capeggiati dal principe Borghese, fratello di Valerio Borghese, che aveva sposato la figlia del principe di Manganelli».
Commento del Prof. Salvatore Musumeci, Presidente Nazionale del Mis
Il racconto di Concetto Gallo evidenzia come in Sicilia, tra il 1942-43, dilagasse ovunque il sentimento indipendentista, rendendosi interprete dei bisogni e del malcontento del Popolo Siciliano. Fu, dunque, Gallo il trait-d’union tra il gruppo catanese del Mis e quello palermitano del Cis che, il 9 dicembre 1943, con propria delibera assunse la denominazione – caldeggiata e già informalmente usata a Catania dal prof. Santi Rindone e dai suoi collaboratori –, di Movimento per l’Indipendenza della Sicilia. La connotazione di movimento era intenzionale perché il Mis si proponeva di radunare sotto le proprie bandiere, uomini e gruppi di qualsiasi ideologia, purché convergenti sull’obiettivo comune ed unificante dell’indipendenza della Sicilia.
Questa scelta costituiva una delle ragioni per le quali l’indipendentismo siciliano fu accolto, trasversalmente, in ogni ambiente della società siciliana dell’epoca. Ma fu anche il suo tallone d’Achille, perché di fronte ad ogni problema concreto si verificavano scissioni e divergenze di opinioni che nel tempo avrebbero indebolito, mortalmente, il progetto indipendentista.
(2. Continua –“Memorie” di Concetto Gallo, da un’intervista di E. Magrì, 1974)
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