Una riflessione del prof. Salvatore Musumeci, Presidente nazionale del Movimento Indipendentista Siciliano, inviatomi da Neva Allegra.
Quando diversi anni fa, cominciammo a parlare, su diverse testate giornalistiche di Storia della Sicilia e in particolare dell’opera svolta dal Mis (Movimento per l’Indipendenza della Sicilia) che portò, dopo aspre battaglie, lo Stato Italiano a concedere lo Statuto Speciale di Autonomia alla Sicilia, eravamo quasi una “voce fuori coro” nostalgici non del passato ma di un futuro che non c’è stato. In effetti, contro la storia contemporanea della Sicilia e contro lo Statuto era in atto una “damnatio memoriae” anche da parte di non pochi intellettuali siciliani.
Di certo, non pensavamo minimamente che sul finire del primo lustro del terzo millennio sarebbe scoppiata una forte “voglia di autonomia” capace di suscitare l’interesse di quanti (soprattutto uomini politici) in sessant’anni avevano continuamente disconosciuto lo Statuto Siciliano, strumento giuridico che, se applicato integralmente, avrebbe reso la Sicilia un “quasi-stato”, così come affermava l’on. Attilio Castrogiovanni nel corso della prima legislatura regionale.
D’innanzi ai nuovi equilibri politici determinatesi all’Assemblea Regionale Siciliana corre d’obbligo una riflessione: come “folgorati sulla via di Damasco”, come se si fosse scoperto l’uovo di Colombo, in molti è esplosa la “voglia di autonomia”, ma sono in pochi a ricordarsi che lo Statuto Speciale della Regione Siciliana approvato il 15 maggio 1946 con decreto-legge luogotenenziale n° 455, a conclusione della trattativa fra lo Stato Italiano e i Siciliani in armi per l’indipendenza (guidati dal Mis e dall’Evis), ha il valore sostanziale di un trattato internazionale fra due entità nazionali.
Già nella travagliata stesura, quanto più nelle ore che lo videro introdotto nella Costituzione della neonata Repubblica Italiana e nei mesi ed anni successivi, che lo hanno visto disatteso, inapplicato, sostituito dalla prassi politica clientelare ed antisiciliana, lo Statuto è stato oggetto di un vilipendio continuo, proprio a causa del suo essere la vera e propria Costituzione di uno Stato (quello Siciliano, con la sua quasi millenaria storia di statualità) associato ad un altro Stato, quello Italiano.
La Sicilia, su quella carta costituzionale, sarebbe stata un vero e proprio “stato federato”, come più volte lamentato anche da Luigi Einaudi, che pure invano cercò di bloccare l’approvazione dell’articolo 38 dello in quanto avrebbe potuto consentire alla Sicilia di «battere moneta».
E oggi, mentre la Catalunya ha visto la conferma di un suo Statuto che, per quanto insoddisfacente, sancisce la realtà della Nazione Catalana, lo Statuto Siciliano ha corso e continua a corre gravi rischi.
Condividiamo pienamente quanto scritto dal dott. Giuseppe Lazzaro Danzuso sull’argomento, in “La Sicilia” di venerdì 9 gennaio 2009 a pag.17, come pure il pensiero dello storico Tino Vittorio: « (…) se Raffaele Lombardo raccoglie l’assist lanciato mezzo secolo fa dagli indipendentisti (…) e riesce a far applicare gli articoli 37 e 38 dello Statuto (…), la Sicilia può vincere la partita». Ma sia chiaro, ciò deve avvenire in tempi molto brevi e prima che passi il federalismo fiscale così come concepito dalla Lega Nord, che assimilerebbe la Sicilia alle altre regioni mortificandola e penalizzandola ancora di più. E che si chieda nel contempo la riattivazione dell’Alta Corte.
Infatti, l’art. 24 dello Statuto istituisce, con sede in Roma, l’Alta Corte per la Regione Siciliana con sei membri e due supplenti, oltre che il Presidente ed il Procuratore Generale, nominati in pari numero dalle Assemblee Legislative dello Stato e della Regione, e scelti fra persone di particolare competenza giuridica.
L’Alta Corte giudica sulla costituzionalità: a) delle Leggi emanate dall’Assemblea Regionale; b) delle Leggi e dei Regolamenti emanati dallo Stato, rispetto alle competenze statutarie ed ai fini della efficacia dei medesimi entro la Regione (art.25).
L’Alta Corte ha pure una speciale competenza in materia penale perché giudica sui reati compiuti dal Presidente e dagli Assessori Regionali nell’esercizio delle rispettive funzioni, e a seguito di accuse formulate dall’Assemblea Regionale (art.26).
Un Commissario, nominato dal Governo dello Stato, promuove i giudizi di competenza dell’Alta Corte, anche in mancanza di accuse da parte dell’Assemblea Regionale (art.27). Il Presidente della Regione ed il Commissario dello Stato, possono impugnare per incostituzionalità, davanti all’Alta Corte, le Leggi e i Regolamenti dello Stato, entro trenta giorni dalla loro pubblicazione (art.30).
È opportuno ricordare che l’Alta Corte verme costituita il 31 maggio 1948, dopo due anni dalla promulgazione dello Statuto, e durante la sua attività (1948-56) sono state emesse ben 91 sentenze. L’Alta Corte ha assolto, dunque, egregiamente i compiti previsti dallo Statuto, fino a quando è stato reso impossibile il suo ulteriore funzionamento per la mancata integrazione dei suoi componenti.
A tal fine il 4 aprile 1957 avrebbe dovuto tenersi una riunione della Camera e del Senato, in seduta comune, per l’elezione di un membro effettivo e di uno supplente. Senonché, con un messaggio datato 3 aprile, l’allora Presidente della Repubblica on. Giovanni Gronchi consigliò un rinvio “sine die” della seduta.
Successivamente la Corte Costituzionale, con propria sentenza n. 38 del 9 marzo 1957, giudicò la competenza dell’Alta Corte “travolta”, sostituendosi ad essa in modo arbitrario. Considerato che l’Alta Corte, di fatto, non è stata mai abrogata, ne riteniamo legittimo il possibile ripristino.
I Siciliani, cui non interessano i bizantinismi costituzionali italici, chiedono dignità, vivibilità, libertà, e lo fanno consapevoli di avere una vera e propria Carta Costituzionale, lo Statuto Speciale, che garantisce loro ampia governabilità. I Siciliani non credono in quanti sostengono la superfluità, o addirittura la dannosità, dell’Autonomia; e sono sempre meno disposti a cogliere e seguire le campagne tricolori di italoassimilazionismo che tutti i partiti hanno proposto negli ultimi appuntamenti elettorali, dalle “politiche” alle “regionali”.
Questo lo diciamo e sottolineiamo soprattutto a quanti oggi governano e “rappresentano” la Sicilia tanto a Palermo quanto a Roma: si parla di nuove riforme costituzionali in tempi brevi, ma bisogna tenere bene a mente una certa prassi, per il momento pressoché aliena al sistema politico italiano, sull’argomento.
In effetti, le modifiche costituzionali, salvo piccoli e circostanziati ammodernamenti che non stravolgano il senso della Carta, non possono essere fatte in forma di concertazione esclusiva fra i partiti rappresentati in parlamento o a colpi di maggioranza o referendum.
È invece chiaro che, in assenza di una nuova, specifica, Assemblea Costituente, i partiti (che ai parlamenti di Palermo e Roma hanno avuto accesso superando o aggirando specifici sbarramenti percentuali) debbano aprire il dialogo con quelle forze politiche che scrissero la Costituzione Italiana.
Fra quelle, c’era il Movimento per l’Indipendenza della Sicilia. Non si illudano, quindi, le coalizioni esposte di poter eleggere ad interlocutore uno o più della miriade di movimenti “autonomisti” o “sicilianisti”, spesso creati ad hoc, asserviti ad una delle coalizioni e privi di una reale partecipazione popolare: il Mis esiste, ed è sempre e comunque disponibile a fornire il proprio apporto pratico e di idee.
Auguriamo al Presidente Lombardo, a costo di apparire provocatori, di fare sul serio, di trasformarsi in quel “De Valera” profetizzato dal nostro leader Andrea Finocchiaro Aprile nel suo Testamento Spirituale, e di agire da capo di Stato, solo così si ricomincerà a riscrivere la storia della Nazione Siciliana – federata all’Italia –, e del suo Popolo secondo i principi statutari accordatici, virtualmente, nel 1946.
Si provveda, dunque, a recuperare nella sua pienezza quanto c’è già: lo Statuto Speciale d’Autonomia, nato dal “pactum” fra il Popolo siciliano in armi e lo Stato italiano, con funzione “riparatrice” per i danni derivati alla Sicilia dall’annessione del 1861, e per dare una via d’uscita – dopo una lunga trattativa –, pacifica ed onorevole, ad una situazione conflittuale determinatasi dal 1943 in poi. Dalla totale applicazione dello Statuto può iniziare, dunque, il percorso giuridico verso la totale indipendenza della Sicilia.
Certo ci sono anche altre vie giuridico-istituzionali, ma rese volutamente farraginose, di conseguenza, meglio approfittare di ciò che è stato normato, con il sacrificio dei caduti per la “causa siciliana”.
Antudo!
Salvatore Musumeci
Presidente Nazionale MIS
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